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Il padre escluso (in chiave psicogenealogica)

Quando in una separazione o in un divorzio il padre viene escluso, non parliamo solo di una questione legale o economica. In chiave psicogenealogica, si tratta di una frattura radicale nell’ordine naturale delle appartenenze.
Il padre non è solo “una figura di contorno”, ma è la radice verticale che offre al figlio la direzione, il diritto al mondo esterno, al lavoro, al coraggio di prendere posto nella vita. Quando questa radice viene recisa o sminuita, si genera una ferita che si trasmette ben oltre il singolo nucleo familiare.

Il padre spodestato porta con sé una doppia condanna: da un lato l’allontanamento affettivo dai figli, dall’altro l’umiliazione sociale ed economica che spesso si accompagna a mantenimenti insostenibili o a decisioni giudiziarie che lo marginalizzano. In molti casi, quest’uomo non regge il peso simbolico di essere stato privato della sua funzione, e cade in depressione, isolamento, dipendenze, fino ad arrivare a gesti estremi come il suicidio. Ma ciò che più conta, in prospettiva psicogenealogica, è che questa esclusione non muore con lui: diventa un fantasma che perseguita i discendenti.

I figli di un padre escluso crescono con un vuoto interiore: percepiscono, anche senza parole, che “il padre non ha avuto diritto di esistere pienamente”. Questo vuoto si traduce in sintomi: difficoltà a prendere posto nella società, instabilità lavorativa, paura di realizzarsi, blocchi relazionali. Nei nipoti, la ferita può manifestarsi come una rabbia sorda contro le istituzioni, oppure come una difficoltà a riconoscere e rispettare l’autorità. In certi casi, si vedono generazioni che faticano ad avere padri presenti, come se l’esclusione iniziale avesse reso impossibile “tenere un padre dentro la famiglia”.

La psiche collettiva registra queste esclusioni come “ingiustizie sistemiche”: quando un padre è messo da parte, l’intero albero porta il segno di un disequilibrio. Le figlie possono crescere diffidenti verso gli uomini, i figli possono sentirsi castrati nella loro forza maschile, e le generazioni successive rischiano di vivere un conflitto continuo tra il desiderio di includere il padre e la lealtà invisibile verso la madre che lo ha allontanato.

Ecco perché, da un punto di vista psicogenealogico, l’esclusione del padre non è mai un fatto privato, ma un trauma transgenerazionale. È un taglio nel flusso della vita che si propaga come un’eco. L’unico modo di sanarlo è ridare al padre il posto che gli spetta, riconoscere la sua presenza, anche se imperfetta, anche se ferita, anche se lontana.

Perché quando un padre viene riconosciuto, anche solo simbolicamente, i figli tornano a sentire di avere radici, e l’albero può finalmente respirare intero.
Quando manca il padre, non manca solo una persona: manca una radice.
E quando una radice è spezzata, l’albero si ammala.

I figli crescono con un buco dentro, un vuoto che diventa insostenibile. E quel vuoto chiede di essere riempito.
Come? Con ciò che la società mette a disposizione: droghe, sesso compulsivo, alcol, ludopatia. Tutto ciò che illude, per un istante, di dare sollievo a un dolore antico. Quel dolore che ha un nome chiaro: l’assenza del padre.

In psicogenealogia sappiamo che la forza vitale arriva dalla madre e dal padre insieme. La madre dà il legame, la nutrizione, il calore. Il padre dà la spinta nel mondo, il coraggio, la capacità di agire. Se questo pilastro viene abbattuto, i figli crescono sbilanciati: restano bambini attaccati a una madre, incapaci di diventare adulti veri. Oppure esplodono di rabbia, cercando il padre in sostanze, in avventure, in rischi estremi. È il tentativo disperato di colmare il vuoto lasciato da una giustizia cieca che ha deciso che il padre non serve.

E allora guardiamola questa società: tribunali che separano i padri dai figli, avvocati che lucrano sul dolore delle famiglie, giudici che firmano decreti come fossero pratiche di ufficio, CTU che scrivono relazioni tagliando fuori un genitore come fosse superfluo. Ma non è superfluo. Il padre escluso diventa un morto vivente, e i figli crescono con una ferita che li insegue ovunque.
E cosa otteniamo? Una società di ragazzi persi, che non riescono a tenere un lavoro, che cercano pace nello sballo, che non sanno amare perché non hanno visto un padre riconosciuto, onorato, presente. Ragazzi che non riescono a radicarsi, che oscillano tra rabbia e apatia. E ogni overdose, ogni slot machine che divora notti intere, ogni sesso usato come anestetico, sono il sintomo collettivo di questa esclusione.

Stiamo creando una società alla deriva. Una società che non ha padri, e dunque non ha direzione. La psicogenealogia ci insegna che ciò che viene escluso ritorna: se oggi escludiamo i padri dalle famiglie, domani ci ritroveremo generazioni intere senza guida, senza confini, senza ordine interiore. E già lo stiamo vedendo.
Perché non c’è pace, non c’è amore, non c’è forza vitale dove il padre non ha posto.
E allora l’appello, è forte: ridiamo ai padri il loro posto. Non solo per loro, ma per i figli, per i nipoti, per la società intera. Senza padri, il mondo si perde. Con i padri riconosciuti, il mondo può ancora salvarsi.

Voi lo sapete.
Non serve che ve lo dica un giudice, un avvocato o la vostra ex. Lo sentite sulla pelle. Quando un padre viene escluso, non è solo la porta di casa che gli si chiude in faccia: è la sua stessa discendenza che viene ferita. È come se la vita gli dicesse: tu non conti.
E i figli? I figli imparano presto la lezione: “Papà non serve. Papà non vale”. Ma un figlio che impara a disprezzare o a dimenticare un genitore… impara a disprezzare o a dimenticare metà di sé. È un veleno che scorre dentro, e che poi si tramanda. Perché quello che non viene riconosciuto, ritorna. Sempre.

In Psicogenealogia lo vediamo chiarissimo: ogni volta che un padre viene messo fuori, un figlio, un nipote, qualcuno della discendenza, porterà il marchio dell’esclusione. Sarà quello che non trova posto, quello che non riesce a reggere la vita, quello che implode nelle relazioni o che scappa da sé stesso. La ferita che vivete voi, oggi, diventa un’eredità tossica per chi viene dopo.
Ed è qui che arriva la verità: non è solo questione di mantenimenti impossibili o di tribunali ingiusti. È questione di storia familiare. È questione di destino.
Se non guardate in faccia la vostra genealogia, siete condannati a ripetere l’esclusione che state subendo. Io vi offro un’arma.

Un albero genealogico. Non un disegno, non un vezzo. Una radiografia della vostra stirpe. Uno specchio brutale e insieme liberatorio che vi mostra dove è nato davvero il nodo, chi è stato buttato fuori prima di voi, quale catena invisibile vi ha spinti fin qui.
E vi dico questo: un albero non cambia un giudice. Non cambia la vostra ex. Ma cambia voi.
E se cambiate voi, cambiate il modo in cui i vostri figli vi guardano. Spezzate il filo che vi lega al destino dell’escluso. Restituite dignità non solo a voi stessi, ma anche ai vostri figli e ai loro figli.

Da facebook Elide Maria Inguanta

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